La genesi della collezione dei vasi attici del Museo Jatta di Ruvo di Puglia - che qui si pubblica per la prima volta, fatta eccezione per la menzione di alcuni esemplari nei volumi di John Davison Beazley - si inserisce in quella temperie storico-culturale che caratterizzò la Puglia e, più in generale, il Meridione d’Italia nell’Ottocento. Già alla fine del XVII secolo Ruvo fu testimone dei primi rinvenimenti di carattere casuale in seguito ad interventi edilizi o agricoli, ma fu soprattutto la scoperta nel 1810 di una tomba particolarmente ricca di ceramiche preziose, poi confluite nella collezione del re Ludwig di Baviera, che diede l’avvio a intense attività di scavo, talvolta autorizzate, molto più spesso clandestine, gestite nella maggior parte dei casi da nobili, alto borghesi, proprietari terrieri, il cui scopo era creare imponenti collezioni. È soprattutto negli anni Venti del XIX secolo che si registra un’intensa attività di scavo finalizzata all’intercettazione delle tombe e dei loro preziosi corredi, con il conseguente arrivo nella piccola città pugliese di rappresentanti dei più importanti musei europei interessati ad acquistare i preziosi materiali che andavano emergendo. Un editto del 1822 tentò di contenere la dispersione degli oggetti antichi, ma, nonostante questo, lo stesso governo borbonico promosse scavi con il solo scopo di arricchire le collezioni del Real Museo Borbonico, l’odierno Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che, ancor oggi, ospita importanti reperti ruvesi.